Trattamento fiscale al lavoratore distaccato all’estero (distacco transazionale)
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 428 del 12 settembre 2023, ha fornito alcuni chiarimenti relativamente al trattamento fiscale applicabile alla retribuzione erogata al lavoratore distaccato all’estero – articolo 51, comma 8–bis del d.P.R. 22 Articolo 16 bis del Testo unico delle imposte dirette 9171986_art_16bis_Tuirdicembre 1986, n. 917 (Tuir).
La Risposta dell’Agenzia delle Entrate
Preliminarmente, si osserva che esulano dall’istituto dell’interpello, come disciplinato dall’articolo 11, legge 27 luglio 2000, n. 212, le valutazioni di elementi di fatto (cfr. . circolare 1° aprile 2016, n. 9, paragrafo 1.1).
Ne consegue che, in questa sede, lo status di residente o non residente del dipendente distaccato in Germania non è oggetto di valutazione, né è oggetto di valutazione la sussistenza del vincolo della subordinazione del dipendente. Tali elementi saranno assunti acriticamente così come rappresentati nell’istanza di interpello in esame. In relazione al quesito posto, si osserva che l’articolo 51, comma 8bis, del Tuir, in deroga a quanto stabilito dai precedenti commi del medesimo articolo 51, prevede che «il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali di cui all’art. 4, comma 1, del decreto legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398».
Ai sensi del richiamato articolo 4 del decreto legge n. 317 del 1987, tali retribuzioni sono fissate entro il 31 gennaio di ogni anno e sono determinate con riferimento e comunque in misura non inferiore al trattamento economico minimo previsto dai contratti collettivi nazionali di categoria raggruppati per settori omogenei.
Il citato criterio di determinazione del reddito, che si rivolge a quei lavoratori che, pur svolgendo l’attività lavorativa all’estero, continuano ad essere qualificati come residenti fiscali in Italia ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del Tuir, comporta che il reddito derivante dal lavoro dipendente prestato all’estero è assoggettato a tassazione assumendo come base imponibile la retribuzione convenzionale fissata dal predetto decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, senza tener conto della retribuzione effettivamente corrisposta al lavoratore.
Sulla base di quanto richiesto dalla citata norma, pertanto, la disciplina fiscale di cui all’articolo 51, comma 8bis, del Tuir trova applicazione a condizione che:
- il lavoratore, operante all’estero, sia inquadrato in una delle categorie per le quali il decreto del citato Ministero fissa la retribuzione convenzionale;
- l’attività lavorativa sia svolta all’estero con carattere di permanenza o di sufficiente stabilità;
- l’attività lavorativa svolta all’estero costituisca l’oggetto esclusivo del rapporto di lavoro e, pertanto, l’esecuzione della prestazione lavorativa sia integralmente svolta all’estero;
- il lavoratore nell’arco di dodici mesi soggiorni nello Stato estero per un periodo superiore a 183.
In relazione al primo requisito è necessario che il soggetto che presta la propria attività lavorativa all’estero sia inquadrato in una delle categorie per le quali il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale (ora Ministro del Lavoro e delle politiche sociali), di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze, fissa le retribuzioni convenzionali. Ciò comporta che la mancata previsione nel decreto ministeriale del settore economico nel quale viene svolta l’attività da parte del dipendente costituisce motivo ostativo all’applicazione del particolare regime (cfr. Circolare 20 del 13 05 2011_Circolare 20e0/E, risposta 5.6).
Il secondo requisito previsto dal Legislatore per l’applicabilità del criterio di determinazione convenzionale del reddito di lavoro dipendente è che l’attività lavorativa sia svolta all’estero come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro.
Come chiarito nella circolare del Ministero delle Finanze 16 novembre 2000, n. 207nistero delle Finanze 16 novembre 2000, n. 207, affinché operi la disciplina in commento, è necessario che venga stipulato uno specifico contratto che preveda l’esecuzione della prestazione all’estero come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro e che il dipendente venga collocato in un speciale ruolo estero (collocazione non necessaria quando il rapporto di lavoro è instaurato direttamente con una società estera).
Come chiarito con la risoluzione 11 settembre 2007, n. 245/E, «l’esecuzione della prestazione lavorativa deve essere integralmente svolta all’estero».
Di conseguenza, non si applica, ad esempio, ai dipendenti in trasferta all’estero, in quanto manca il requisito della continuità ed esclusività dell’attività lavorativa all’estero, derivante da un contratto specifico.
Il requisito della continuità deve avere carattere di permanenza o di sufficiente stabilità (cfr. risoluzione 11 settembre 2007, n. 245/E).
Per quanto concerne il computo dei giorni di effettiva permanenza del lavoratore all’estero, come chiarito nella circolare n. 207 del 2000, il periodo da considerare non necessariamente deve risultare continuativo: è sufficiente, infatti, che il lavoratore presti la propria opera all’estero per più di 183 giorni nell’arco di dodici mesi. Il Legislatore, infatti, con l’espressione «nell’arco di dodici mesi» non ha inteso far riferimento al periodo d’imposta, ma alla permanenza del lavoratore all’estero stabilita nello specifico contratto di lavoro, che può anche prevedere un periodo a cavallo di due anni solari.
In particolare, nella circolare 26 gennaio 2001, n. 7/E, è stato precisato che qualora il contratto preveda la permanenza all’estero per un periodo superiore a 183 giorni il sostituto d’imposta applica la tassazione prevista dall’articolo 51, comma 8bis, del Tuir a partire dalla prima retribuzione erogata, salvo rettifica da effettuare in sede di conguaglio qualora vengano meno le condizioni richieste per l’applicazione del regime di cui alla disposizione da ultimo citata.
Per l’effettivo conteggio dei giorni di permanenza del lavoratore all’estero rilevano, in ogni caso, nel computo dei 183 giorni, il periodo di ferie, le festività, i riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi, indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi (cfr. circolare del Ministero delle Finanze 16 novembre 2000, n. 207 e circolare Agenzia delle Entrate 23 maggio 2017, n. 17/E).
Nel caso in esame, secondo quanto rappresentato nell’ambito del contratto disciplinante specificamente lo svolgimento della prestazione di lavoro in distacco presso la Consociata in Germania, il lavoratore per esigenze aziendali e nell’esclusivo interesse della Consociata effettua anche occasionali trasferte di lavoro in Paesi diversi dalla Germania, tra cui l’Italia. Tale circostanza non sembra far venir meno il carattere di esclusività e di continuità del rapporto di lavoro presso una Consociata estera.
Conseguentemente, fermo restando la prestazione dell’attività lavorativa all’estero per un periodo superiore a 183 giorni l’anno e nel presupposto che, come dichiarato dall’Istante, siano rispettate tutte le altre condizioni previste dalla disposizione in commento, si ritiene che, nel caso di specie, il reddito possa essere determinato ai sensi dell’articolo 51, comma 8bis, del Tuir.