Rifiuto del lavoratore di vaccinarsi: obblighi del datore di lavoro
Qualora il lavoratore risponda negativamente alla richiesta del proprio datore di lavoro, alla vaccinazione ANTI-COVID, quest’ultimo dovrebbe inviarlo a visita presso il medico competente, al fine di verificare il motivo del diniego. Motivo che potrebbe essere legittimo, in quanto non dipendente dalla volontà del lavoratore stesso (esempio cd. no vax), ma potrebbe essere dovuto ad una patologia incompatibile con la somministrazione del vaccino, quale, ad esempio, la presenza di una allergia ai farmaci o uno stato di gravidanza.
Soprattutto nel secondo caso, allorquando il rifiuto alla vaccinazione sia supportato da una motivazione medico-scientifica e l’ostacolo all’assolvimento della prestazione lavorativa non sia imputabile al prestatore di lavoro, il datore di lavoro si dovrà attivare per trovare strade alternative che non siano di intralcio alla limitazione dei contagi e lo potrà fare ricorrendo a questa gradualità di interventi:
1. verificare la possibilità che la prestazione lavorativa possa avvenire da remoto (smart working);
2. spostare il lavoratore ad altre attività, compatibili con i fattori sopra evidenziati (rispetto del distanziamento con altri soggetti) e con la professionalità posseduta,
3. spostare il lavoratore ad altre mansioni, anche inferiori, rispetto a quelle possedute; sempre verificando la professionalità in capo al lavoratore,
4. trasferire il lavoratore ad un’altra unità produttiva o cantiere ove siano rispettati i fattori sopra evidenziati,
5. sospendere il lavoratore dall’attività lavorativa.
Su quest’ultimo punto, sarebbe auspicabile che il legislatore intervenga e assimili i lavoratori impossibilitati a fare il vaccino, in virtù di una problematica di natura fisica (es. allergici), ai lavoratori “fragili” (cd. immunodepressi) previsti dal comma 2, dell’articolo 26, del Decreto-legge n. 18/2020, per i quali il periodo di assenza dal servizio è equiparato al ricovero ospedaliero.
Viceversa, qualora il diniego al vaccino, da parte del lavoratore, sia dovuto ad una valutazione personale e non scientifica (c.d. “no vax”), la sospensione dall’attività lavorativa e dalla retribuzione potrebbe essere la soluzione primaria, in quanto il datore di lavoro non è obbligato a conciliare le pretese personali del lavoratore, che non siano supportate da evidenze medico-scientifiche, dall’esigenza aziendale di ridurre i contagi.