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I presupposti di applicabilità della nuova disciplina fiscale degli appalti

I singoli presupposti:

IL VALORE DELLE OPERE

C’è, innanzitutto, la previsione del valore delle opere e dei servizi commissionati: il Legislatore parla di 200.000 euro (da intendersi IVA esclusa) secondo il chiarimento dell’Agenzia delle Entrate:

essa ha lo scopo di delimitare il campo di applicazione ai comportamenti elusivi più importanti in termini di gettito.

200.000 euro è il valore annuo dei servizi o delle opere realizzate: qui la risoluzione n. 108/E del 23 dicembre 2019, partendo dall’assunto che le nuove disposizioni “si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2020”, afferma che le ritenute IRPEF, vanno versate con le nuove modalità anche se si riferiscono a contratti sottoscritti in data antecedente (cosa che ha creato più di un malumore tra le aziende interessate).

 

L’APPLCABILITA’ PER IL  COMPIMETO DELLE OPERE O SERVIZI  mediante contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati

Nell’ottica di un decentramento produttivo realizzato all’interno dell’azienda, si sono voluti ricomprendere anche contratti di decentramento dell’attività, comunque denominati, che presentano le caratteristiche individuate dal Legislatore (ossia, debbono essere endo-aziendali). Con tale impostazione si è coerenti con quanto affermato, per altri fini, dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 254/2017 che riassorbe nella responsabilità solidale ex art. 29 del D.L.vo n. 276/2003 anche tipologie contrattuali di altra denominazione ove si realizza un decentramento produttivo dell’attività.

 

Il terzo principio di applicabilità riguarda l’uso prevalente di manodopera (c.d. “labour intensive”).

Il Legislatore, afferma la nota dell’Agenzia delle Entrate, vi è comprende sia il personale che svolge  attività manuale che intellettuale: di conseguenza si riferisce ai c.d. appalti “labour intensive” con una particolare attenzione riservata ad alcuni settori come la logistica, la ristorazione aziendale, le pulizie, la grande distribuzione, l’edilizia, la macellazione delle carni, il settore alimentare, la vigilanza privata o le attività legate all’agricoltura in presenza di alcuni picchi di attività.

Nel nostro ordinamento l’utilizzo prevalente di manodopera è già stato definito dal Legislatore nell’art. 50 del D.L.vo n. 51/2016 (c.d. “Codice degli Appalti Pubblici”), laddove vengono definiti “servizi ad alta intensità di manodopera” quelli “nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50% dell’importo totale del contratto”. La circolare n. 1/E afferma, invece,  che il concetto di “prevalenza”non si pone nel caso di affidamento del compimento di servizi ove l’utilizzo della manodopera è, sostanzialmente esclusivo (si pensi, ad esempio, alla macellazione), ma nei contratti misti di affidamento del compimento di opere e servizi o ai contratti di affidamento di opere. In questi casi “la prevalenza” si ha allorquando nel rapporto tra numeratore e denominatore è superiore al 50%, ove al numeratore va indicata la retribuzione lorda dei lavoratori percettori di reddito da lavoro ed assimilato ed al denominatore il prezzo complessivo dell’opera (o dell’opera e del servizio nei c.d. “contratti misti”).

 

Il quarto presupposto riguarda il luogo ove si svolgono le opere ed i servizi commissionati

La norma parla di sede del committente (concetto estensibile alle pertinenze): quindi cantieri, reparti, unità produttive, anche dislocate lontano dalla sede legale, ecc.. Da ciò ne consegue che sono da considerare estranee al dettato normativo, le attività commissionate che non si svolgono in tale ambito (si pensi a contratti di appalto, anche di volume economico considerevole) e che vengono svolte ben lontane dal perimetro aziendale.

La circolare n. 1/E, nell’ottica di deterrenza nei confronti di comportamenti elusivi è, perfettamente, in linea con quanto appena detto, laddove afferma che vi rientrano tutte le sedi o luoghi riconducibili al committente (anche quando lo è, ad esempio, l’appaltatore nei confronti del subappaltatore) destinati allo svolgimento dell’attività di impresa agricola o professionale;

 

 

Il quinto presupposto di applicabilità (dalla valutazione particolarmente delicata in alcuni contesti) riguarda l’utilizzo di beni strumentali di proprietà del committente o riconducibili allo stesso in qualunque forma.

Ricordo che l’art. 29 del D.L.vo n. 276/2003 impone all’appaltatore l’organizzazione dei mezzi in relazione alle esigenze dell’opera e del servizio dedotti in contratto. Da ciò discende la possibilità che lo stesso si avvalga, legittimamente, di attrezzature del committente in quanto perché, ad esempio, sprovvisto di una macchina particolare. Ebbene una utilizzazione anche parziale, ma, sostanzialmente, continuativa, di mezzi del committente (magari, ceduti in comodato d’uso) fa sì che l’esternalizzazione dell’attività accompagnata dagli altri elementi sopra riportati, rientri nella casistica individuata dal Legislatore.

La circolare n. 1/E si sofferma sul concetto di riconducibilità dei beni strumentali al committente: ciò può avvenire per proprietà, possesso o detenzione ed afferma, inoltre che l’utilizzo occasionale di beni strumentali riconducibili al committente o l’utilizzo di beni non indispensabili per l’esecuzione dei lavori commissionati, non integra il ricorrere della condizione di applicabilità.

 

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