Enigma licenziamenti per aziende con Cigo e Cigd/FIS – DL Sostegni
Il decreto Sostegni ha prorogato il divieto dei licenziamenti economici fino al 30 giugno per tutte le imprese, mentre per il periodo successivo fino al 31 ottobre la moratoria si applica ai (soli) datori che hanno accesso al Fondo di integrazione salariale e alla cassa integrazione in deroga. In forza di queste previsioni, i datori di lavoro che rientrano nel campo di applicazione della Cigo dal 1° luglio possono attivare procedure di licenziamento per ragioni produttive, organizzative ed economiche. Viceversa, i datori che non hanno a disposizione la cassa ordinaria devono aspettare il mese di novembre.
Con questo nuovo quadro normativo si devono misurare le imprese che non hanno un inquadramento previdenziale unico per tutta la popolazione aziendale. Pensiamo a un’azienda del settore tessile che produce in proprio i capi di abbigliamento e gestisce punti vendita monomarca. La stessa situazione si potrebbe proporre con riferimento all’industria alimentare, dove alla lavorazione delle carni si accompagna la gestione diretta dei negozi. In questi casi, solo i lavoratori addetti alla produzione hanno la Cigo per emergenza epidemiologica, mentre gli altri dipendenti usufruiscono dell’assegno ordinario o della cassa in deroga.
Si pone un tema evidente rispetto alla data da cui l’impresa potrà procedere ai licenziamenti oggi vietati. Il datore di lavoro, dopo il 30 giugno, potrà aprire le procedure di riduzione del personale (quantomeno) per i dipendenti della produzione? Oppure rimane vincolato alla scadenza del 31 ottobre applicabile al gruppo dei lavoratori che ha usufruito della cassa in deroga?
Sul piano tecnico la risposta più plausibile è nel senso che, non essendo disponibili ulteriori settimane di Cigo, il datore potrà procedere al licenziamento dei dipendenti che hanno beneficiato di questo ammortizzatore. A questa lettura conducono le due versioni della relazione illustrativa all’articolo 8 del decreto Sostegni, perché indicano chiaramente che la prosecuzione del divieto si ricollega alla fruizione (prima relazione) o alla possibilità di fruizione (seconda relazione) dei trattamenti di integrazione salariale con causale Covid-19. Dunque, se non posso più fruire dell’ammortizzatore dopo il 30 giugno, sono libero di licenziare.
Ma il tema non si limita al solo aspetto tecnico. C’è un problema enorme sul piano applicativo, che renderà, nei fatti, difficilmente attuabili i licenziamenti anche per i settori aziendali coperti dalla Cigo.
Un progetto di ristrutturazione, specialmente nel contesto di un evento pandemico di così ampie dimensioni, difficilmente può essere limitato a un segmento dell’impresa senza coinvolgere anche gli altri ambiti. I licenziamenti collettivi, in particolare, devono potersi misurare con l’organizzazione aziendale nel suo complesso, perché una riconversione o anche una riduzione dei costi sono fisiologicamente collegati alla struttura dell’impresa nella sua dimensione unitaria.
C’è, infine, un profilo di tenuta legale, considerando che la scelta dei lavoratori eccedentari porta a dover considerare tutti i dipendenti che, attualmente o in passato, hanno svolto le mansioni fungibili in esubero. Non è infrequente, soprattutto per le attività manuali e ripetitive, che i lavoratori siano spostati da un ambito aziendale a un altro. In questo caso, ridurre il perimetro dei licenziamenti al solo segmento aziendale protetto dalla Cigo trascina con sé inevitabili contestazioni di illegittimità rispetto all’applicazione dei criteri di scelta.