NEWS

Differenza licenziamento giusta causa e giustificato motivo

Il datore di lavoro può avvalersi del licenziamento per giusta causa in presenza di fatti così gravi da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto mentre, il licenziamento per giustificato motivo si ha un inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore.

1. Licenziamento per giusta causa e giustificato motivo

Per riuscire ad inquadrare il tema dobbiamo prendere le mosse dall’articolo 1 della legge n. 604/1966, aggiornato all’articolo 1 della legge n. 92/2012 riguardante il licenziamento: questo, recita l’articolo in oggetto, è possibile soltanto per giusta causa o per giustificato motivo:

nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di lavoro privati o con enti pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, di regolamento e di contratto collettivo o individuale, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 del Codice civile o per giustificato motivo.”

Per giusta causa, si intende una trasgressione o una inadempienza da parte del lavoratore, tale da compromettere il rapporto di fiducia instauratosi con il suo datore. In questa ipotesi si può assistere ad un licenziamento senza preavviso.

La solita legge all’articolo 3 prende in considerazione le due ipotesi di licenziamento per giustificato motivo:

1) “notevole inadempimento degli obblighi contrattuali” da parte del dipendente (licenziamento con preavviso per giustificato motivo soggettivo);

2) ragioni connesse all’organizzazione del lavoro, al funzionamento regolare dell’organizzazione e all’attività produttiva (licenziamento con preavviso per giustificato motivo oggettivo).

Alla giurisprudenza spetta l’arduo compito di stabilire se la fattispecie concreta rientri in una causa di licenziamento per giusta causa o in una per giustificato motivo. In entrambi i casi, secondo un orientamento consolidato della Corte di Cassazione, deve mancare l’elemento della fiducia costitutiva di quel rapporto di lavoro.

Il tema del lavoro è al centro, da sempre, di un’accesa disputa tra imprenditori e rappresentanti sindacali. Varie vicissitudini storiche (che non stiamo qui ad elencare) hanno fatto pendere la bilancia prima da una parte e poi dall’altra.

È necessario però ricordare almeno la disciplina posta in essere dallo statuto dei lavoratori che introduceva il concetto di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro nel caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo. Questo era valido per aziende con più di 35 dipendenti, limite poi abbassato a 15 grazie alla legge n. 108/1990. Il tema dello statuto dei lavoratori è ricorrente nei tg e nei talk evidenziando la drammatica attualità di questi temi.

2. Le differenze tra giusta causa e giustificato motivo

Cerchiamo di chiarire ulteriormente le differenze tra giusta e giustificato motivo rimandando alla giurisprudenza per la risoluzione di fattispecie concrete che rientrano nell’una disciplina o nell’altra secondo un criterio quantitativo più che qualitativo.

Giusta causa è la presenza di un fatto talmente grave da rendere impossibile a prosecuzione del rapporto di lavoro, fatto che si identifica, come abbiamo visto, primariamente nel venire meno della fiducia. In tal caso il rapporto deve tempestivamente interrompersi, quindi non occorre il preavviso.

Dunque, il licenziamento per giusta causa avviene per:

  • assenza ingiustificata del dipendente oltre i termini contrattuali;
  • violenza e minacce nei confronti del datore di lavoro, di colleghi e/o di superiori (ad esempio insubordinazione, ingiurie, percosse, minacce);
  • furto di denaro e/o di beni aziendali (reati commessi nell’esercizio delle mansioni lavorative, danneggiamenti volontari e/o fatti criminosi al di fuori del rapporto lavorativo, ma tali da incrinare il rapporto di fiducia tra le parti);
  • svolgimento di attività lavorativa da parte del dipendente durante la cassa integrazione;
  • rifiuto del trasferimento in altra sede o di cambiare mansioni o di essere adibito ad altre mansioni, purché queste siano equivalenti e non dequalificanti;
  • altro motivo previsto dal CCNL.

Giustificato motivo è una caratterizzazione meno grave e si distingue in oggettivo e soggettivo: in ogni caso è previsto il preavviso.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo avviene in caso di:

  • considerevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore;
  • ritardi sistematici sul posto di lavoro da parte del dipendente;
  • carcerazione preventiva del dipendente;
  • detenzione per condanna passata in giudicato;
  • assenza per malattia prolungata o superamento del “comporto” (cioè il periodo in cui non si può licenziare un lavoratore assente per malattia per un periodo massimo stabilito dal CCNL, “eccessiva morbilità o superamento del periodo di comporto”);
  • inidoneità fisica del lavoratore

Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo avviene in caso di:

  • riduzione di personale da parte dell’azienda;
  • impossibilità di trasferire i cantieri altrove a fine lavori o nella fase lavorativa per il settore dell’Edilizia;
  • soppressione del posto di lavoro per fine lavorazione;
  • il lavoratore licenziato non possa essere riutilizzato in altro settore aziendale (repechage);
  • fallimento o liquidazione dell’azienda;
  • cessazione attività dell’azienda o di una sua filiale;
  • soppressione del posto di lavoro perché antieconomico;
  • riorganizzazione dell’azienda per una gestione più economica;
  • altro motivo previsto dal CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro).

Essendo entrambi ipotesi ricorrenti nella dura realtà quotidiana si consiglia sempre, per qualsiasi dubbio, di richiedere una consulenza. L’assistenza dello Studio Uboldi, anche grazie alle possibilità di interrogare il nostro legale di Studio, è fondamentale per districare la difficile matassa del singolo caso.

3. Le ragioni che legittimano il licenziamento disciplinare

Il licenziamento individuale del lavoratore è la sanzione disciplinare più grave che può essere irrogata dal datore di lavoro, sia pubblico che privato, o per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.

Infatti, come chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 4823 del 1° giugno 1987, è necessario accogliere la tesi c.d. ontologica del licenziamento disciplinare, secondo cui il licenziamento ha natura disciplinare ogni qual volta esso sia addebitale al lavoratore a titolo di colpa generica.

In particolare, nella pronuncia succitata la Suprema Corte ha chiarito che nella categoria del licenziamento per colpa (o per inadempienze) rientrano sia il licenziamento per giusta causa ex art. 2119 c.c. che quello per giustificato motivo soggettivo.

Pertanto, il licenziamento disciplinare è sempre ontologicamente, per sua stessa natura, o un licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.

Tanto premesso, occorre chiarire che cosa si debba intendere per “giusta causa” e per “giustificato motivo soggettivo”.

3.1. Licenziamento disciplinare per giusta causa

Ai sensi dell’art. 2119 c.c., la giusta causa di licenziamento sussiste in tutti i casi in cui al lavoratore sia imputabile un inadempimento degli obblighi relativi alla prestazione lavorativa talmente grave da rendere impossibile la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro.

Come espressamente chiarito dalla disposizione suindicata, in presenza di una giusta causa di licenziamento, nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il datore di lavoro può recedere dal contratto ad nutum, ovvero senza preavviso. Invece, nel caso di un contratto di lavoro a tempo determinato, la parte datoriale può procedere al licenziamento per giusta causa del lavoratore anche prima della scadenza del termine.

L’art. 2119 c.c. contiene una “clausola generale”, appunto quella di giusta causa e, pertanto, necessita di essere specificato e arricchito di contenuti da parte degli operatori del diritto.

In particolare, si ha giusta causa di licenziamento, quando il prestatore di lavoro vìoli il vincolo fiduciario che lo lega alla parte datoriale (cfr. Cass. sent. n. 6216 del 23 giugno 1998). Infatti, la fiducia è l’elemento fondamentale che condiziona la permanenza o la cessazione del rapporto di lavoro e assume una diversa gradazione a seconda delle peculiarità del caso concreto (cfr. Cass. sent. n. 1016 del 2 febbraio 1998).

La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che, al fine di concretizzare la nozione di giusta causa, si debba fare riferimento sia ai principi giuridici implicitamente richiamati dalla norma che a fattori esterni ritenuti rilevanti dalla coscienza generale (cfr., ex multis, Cass. sent. n. 8242 del 2004). Le suddette integrazioni e specificazioni del disposto di cui all’art. 2119 c.c. assumono valore giuridico e, dunque, la loro inosservanza è censurabile in sede di legittimità come violazione di legge (cfr., ex multis, Cass. civ., Sez. lavoro, sent. n. 5095 del 2 marzo 2011).

Dall’altro lato, al fine di verificare in concreto la sussistenza di una giusta causa di licenziamento, il giudice di merito deve stabilire la gravità dei fatti posti in essere dal lavoratore, nonché la proporzionalità tra tali fatti e la sanzione irrogata dal datore di lavoro ai sensi dell’art. 2106 c.c. (cfr. Cass. sent. n. 6498 del 26 aprile 2012 ). In particolare, le mancanze del prestatore di lavoro devono essere valutate sotto il profilo oggettivo e soggettivo, tenendo conto delle circostanze del caso concreto e dell’intensità dell’elemento intenzionale o colposo. La suddetta valutazione non è censurabile in sede di legittimità, a condizione che essa sia esente da vizi logici o giuridici (cfr. Cass. sent. n. 8571 del 28 settembre 1996).

Inoltre, come ribadito di recente dalla Corte di Cassazione, non vi è alcun tipo di automatismo nell’irrogazione della sanzione del licenziamento disciplinare per giusta causa, neppure quando tale misura sia esplicitamente prevista dalla contrattazione collettiva (cfr. Cass. civ., Sezione lavoro, sent. n. 984 del 16 gennaio 2019).

Pertanto, spetta in ogni caso all’autorità giurisdizionale verificare la sussistenza in concreto dei presupposti di cui all’art. 2119 c.c. che legittimano l’irrogazione del licenziamento disciplinare per giusta causa (cfr., ex multis, Cass. civ., Sez. lavoro, sent. n. 5095 del 2 marzo 2011).

Infine, il giudice di merito, anche d’ufficio, può qualificare un licenziamento intimato per giusta causa come licenziamento per giustificato motivo soggettivo in ragione della minore gravità della condotta posta in essere dal lavoratore, come si dirà nel successivo paragrafo (cfr., ex multis, Cass. civ., Sezione lavoro, sent. n. 14621 del 18 luglio 2016).

3.2. Licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo

Ai sensi dell’art. 3 Legge n. 604/1966, a seguito di apposito preavviso, il datore di lavoro pubblico o privato può irrogare la sanzione del licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo o oggettivo.

Nel primo caso (c.d. giustificato motivo soggettivo), il lavoratore soggiace alla misura del licenziamento disciplinare, quando la sua condotta costituisca un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali.

Nel secondo caso (c.d. giustificato motivo oggettivo), la parte datoriale può legittimamente licenziare il lavoratore, quando ciò sia necessario per “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” (cfr. art. 3 Legge n. 604/1966).

Tuttavia, come precisato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 4823 del 1° giugno 1987, solo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, insieme a quello per giusta causa, rientra nella categoria del licenziamento disciplinare.

Pertanto, tralasciando i casi di giustificato motivo oggettivo, occorre chiarire i presupposti in presenza dei quali sussista un giustificato motivo soggettivo di licenziamento.

Anzitutto, al fine di irrogare la sanzione disciplinare in oggetto, il legislatore richiede che sia addebitabile al lavoratore un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (cfr. art. 3 Legge n. 604/1966).

Il notevole inadempimento deve essere valutato alla luce degli interessi del datore di lavoro a una gestione aziendale improntata ai principi di economicità, efficacia ed efficienza.

In particolare, è stato osservato che l’art. 3 Legge n. 604/1966, nel legittimare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo solo nel caso in cui sussista un notevole inadempimento del lavoratore, non fa altro che ribadire quanto già stabilito dall’art. 1455 c.c. in tema di risoluzione del contratto (cfr. Cass. civ., Sezione lavoro, sent. n. 6889 del 13 maggio 2002). Infatti, la norma testé citata subordina la risoluzione del contratto alla presenza di un inadempimento di non scarsa importanza di una delle parti, alla luce dell’interesse dell’altro contraente. Ed invero, l’inadempimento di non scarsa importanza altro non è che un notevole inadempimento: da qui l’analogia tra le due disposizioni.

Pertanto, è necessario che il prestatore di lavoro abbia compiuto una violazione di rilevante gravità dei doveri che su di esso incombono, in base a quanto stabilito dal contratto individuale di lavoro. Si deve trattare, dunque, di una violazione tale da far ritenere pregiudizievole per gli interessi datoriali la futura prosecuzione del rapporto di lavoro.

Tuttavia, l’inosservanza degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore non deve essere così grave da legittimare l’applicazione del licenziamento disciplinare senza preavviso (c.d. per giusta causa).

Ad ogni modo, presupposto indefettibile del licenziamento per giustificato motivo soggettivo (così come di quello per giusta causa) è il venir meno del vincolo fiduciario intercorrente tra le due parti del rapporto di lavoro.

Da quanto sopra consegue che l’unica differenza sussistente tra le due tipologie di licenziamento disciplinare consista nel loro diverso contenuto e, in specie, nella diversa gravità dell’inadempimento posto in essere dal lavoratore (cfr. Cass. civ., Sezione lavoro, sent. n. 6889 del 13 maggio 2002). In particolare, la violazione degli obblighi contrattuali è più o meno grave, a seconda che si tratti rispettivamente di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.

Condividi: