Blocco dei licenziamenti: come gestire gli esuberi nelle imprese con CIGO e CIG in deroga
Il decreto Sostegni ha previsto due date per la cessazione del blocco dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo: il 1° luglio per le aziende che rientrano nel campo di applicazione della CIGO e il 1° novembre per le altre. La duplicazione delle scadenze potrebbe generare qualche problema per le imprese che, per il proprio personale, fanno riferimento ad un doppio inquadramento e, di conseguenza, a due diversi ammortizzatori sociali Covid-19. E’ il caso, ad esempio, delle aziende che, genericamente, gestiscono, oltre alla produzione, la commercializzazione dei prodotti.
L’Esecutivo ha previsto, come è noto, due date per la cessazione del blocco: il 1° luglio per le aziende che rientrano nel campo di applicazione della CIGO (comma 9) e 1° novembre per le altre (comma 10).
La distinzione operata dal provvedimento merita una riflessione. Quali sono i datori di lavoro che possono procedere ai licenziamenti per g.m.o. a partire dal 1° luglio e che possono aprire le procedure collettive di riduzione di personale di cui parlano gli articoli 4, 5 e 24 della legge n. 223/1991, sono quelle imprese che rientrano nelle tutele della Cassa integrazione guadagni ordinaria e che sono indicate all’art. 10 del D.L.vo n. 148/2015:
Le alternative alla Cassa integrazione
a) Ricorrere, per i dipendenti del settore industriale, al licenziamento plurimo di un massimo di 4 lavoratori, avendo cura di non effettuare un altro recesso nei 120 giorni successivi, altrimenti i licenziamenti diverrebbero “ex lege” collettivi, con tutte le conseguenze del caso. Questo passaggio potrebbe avvenire anche con la procedura individuale ex art. 7 della legge n. 604/1966 (non più “bloccata” dalla norma) e con la risoluzione consensuale con conciliazione avanti alla commissione istituita presso ogni Ispettorato territoriale del Lavoro, cosa che porterebbe il diretto interessato a fruire del trattamento di NASpI. Va sottolineato, comunque, che quest’ultima può essere attivata, unicamente, dalle imprese dimensionate oltre le 15 unità per lavoratori (esclusi i dirigenti) assunti prima del 7 marzo 2015. Per coloro che sono stati assunti successivamente potrebbe essere attivata la procedura di conciliazione facoltativa prevista dall’art. 6 del D.L.vo n. 23/2015 (che, per una serie di motivi, presenta poco “appeal” tra i lavoratori) ove, in caso di accordo, il lavoratore fruisce, comunque, della NASPI, come affermato dall’ interpello n. 15/2015 del Ministero del Lavoro;
b) Procedere a risoluzioni consensuali a seguito di accordi collettivi, secondo la previsione del comma 11 dell’art. 8 per i soli dipendenti che fruiscono di ammortizzatori diversi dalla CIGO, cosa che consente ai soggetti interessati di percepire anche il trattamento di NASpI. Per i lavoratori, invece, che fruiscono della CIGO, ciò, stando a tenore letterale della norma, non appare possibile, essendo tale strumento stato utilizzato dal Legislatore quale alternativa concordata al blocco dei licenziamenti che per costoro non c’è più. Sarebbe auspicabile che in sede di conversione del decreto Sostegni, tale strumento potesse essere utilizzato anche dopo la fine dello “stop” ai licenziamenti per motivi economici, in quanto, la fruizione della NASpI accompagnata da un “qualche incentivo all’esodo”, potrebbe facilitare il datore di lavoro nell’opera di alleggerimento concordato degli organici;
c) Procedere alla richiesta di integrazione salariale straordinaria per crisi aziendale o per ristrutturazione (ovviamente, con motivazioni plausibili che vanno esaminate dal Dicastero del Lavoro prima della concessione) e durante la stessa, con accordo sindacale raggiunto secondo le modalità previste dall’art. 24-bis del D.L.vo n. 148/2015, aprire una procedura di ricollocazione per i dipendenti che, entro un mese dall’accordo, hanno manifestato, per iscritto, la loro intenzione di aderire. Tale iter, abbastanza complesso e irto di difficoltà, che prevede un affidamento dei lavoratori interessati ai centri per l’Impiego o alle Agenzia di Lavoro per una ricollocazione in altra impresa, in caso di risoluzione del rapporto a seguito di una nuova collocazione, consente che fino a 9 mensilità di incentivo all’esodo non si paghi l’IRPEF e, qualora il dipendente non abbia fruito di tutto il trattamento di CIGS, può ottenere il 50% del residuo.