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Ancora oneri per i Consulenti del Lavoro e costi per i datori di lavoro – contributo addizionale contratti a termine 7-2018/9-2019

Ancora una volta il compito ricade sui Consulenti del Lavoro, è semplice l’INPS emana una circolare, decide come fare, e mette scadenze impossibili da rispettare, neanche le software house hanno il tempo di implementare i programmi, e per non creare contenzioso con l’INPS occorre che i Consulenti del Lavoro facciano “a mano” ciò che poteva essere fatto attraverso i SW di elaborazione. Inoltre è bene considerare che questo cererà il pagamento degli  arretrati da 7/2018 a 9/2019 e successivamente un maggior costo in caso di RINNOVI come di seguito specificato.

PRESUPPOSTI – Qual è la differenza fra proroga e rinnovo nel contratto a termine breve descrizione delle regole

Comprendere la differenza tra proroga e rinnovo è di fondamentale importanza alla luce dei diversi limiti che la legge impone all’una o all’altra casistica (per le ragioni sopra citate). Peraltro, la normativa dei contratti a termine è stata di recente riformata ad opera del cosiddetto Decreto dignità (Dl. n. 87/2018 convertito in L. n. 96/2018), entrato pienamente in vigore.

A ciascun datore di lavoro è consentito stipulare un numero complessivo di contratti a tempo determinato non superiore al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione.

E’ possibile:

  • PROROGARE: ovvero spostare in avanti la data di scadenza senza che il rapporto si interrompa;
  • RINNOVOVARE: lasciar scadere il rapporto e riassumere lo stesso dipendente dopo uno stacco temporale (Stop&Go), sempre con un contratto a termine; lo Stop&Go deve essere di:
    • 10 giorni di calendario se il rapporto precedente ha avuto durata pari o inferiore a 6 mesi;
    • 20 giorni di calendario se il rapporto precedente ha avuto durata superiore a 6 mesi. 

A prescindere dal superamento o meno dei 12 mesi, qualsiasi rinnovo dev’essere giustificato da una delle causali* sotto specificate e richieste dalla legge

 

Tuttavia, il datore non può prorogare/rinnovare il rapporto all’infinito. La legge glielo impedisce per due motivi:

  • La durata massima del contratto (o della somma di proroghe e rinnovi)  a tempo determinato è di 12 mesi acusale (senza motivazioni) + 12 mesi con causale che devono essere indicate nella lettera di proroga ovvero per:
    • *Esigenze temporanee e oggettive, estranee all’attività ordinaria, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
    • *Esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
  • il numero di proroghe ammesse è di 4 volte. il numero dei rinnovi è illimitato.
  • Raggiunti i 24 mesi (fra proroghe e rinnovi) consentiti, il datore di lavoro ed il lavoratore possono decidere di stipulare un ulteriore  rapporto di lavoro a termine (rinnovo) della durata massima di 12 mesi, arrivando a 36 mesi in totale. Tale nuovo contratto di lavoro dovrà però essere sottoscritto in regime di “deroga assistita” presso la sede territorialmente competente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

E’ previsto un termine massimo per prosecuzioni di fatto  (cioè senza proroga o rinnovo del contratto) del rapporto pari a :

  • 30 giorni, se il contratto a termine aveva una durata inferiore a 6 mesi, e 
  • 50 giorni negli altri casi. 

Per queste prosecuzioni il lavoratore ha diritto ad una maggiorazione dello stipendio e il contratto fino a tali termini non si trasforma in contratto a tempo determinato.

 

Tornando agli adempimenti l’INPS ha fornito, con la circolare n. 121/2019, le indicazioni operative per gestire gli adempimenti connessi al versamento del contributo addizionale maggiorato richiesto, alle aziende, in caso di rinnovo dei contratti a termine. Il contributo a carico del datore di lavoro è pari allo 0,50% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali e va pagato in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato e del contratto di somministrazione di lavoro a termine. Nessuna ulteriore maggiorazione alla contribuzione dovrebbe, invece, essere richiesta in caso di proroga di un rapporto di lavoro a termine in essere. L’aumento del contributo addizionale è dovuto dai datori di lavoro interessati con riferimento ai rinnovi dei contratti di lavoro a tempo determinato, anche in somministrazione, intervenuti a far tempo dal 14 luglio 2018, data di entrata in vigore del decreto legge n. 87/2018, ma solo oggi calcolabili alla luce della Circolare, la pretesa è che i datori di lavoro per il tramite dei consulenti presentino una serie di adempienti (unimens/codici/calcoli/comunicazioni,…) entro la dichiarazione contributiva di settembre 2019.

Si parla del contributo, a carico del datore di lavoro, dello 0,50% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, che il decreto Dignità (decreto legge n. 87/2018) ha introdotto in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato anche a chiamata/intermittente e del contratto di somministrazione di lavoro a termine e che va ad aggiungersi al contributo addizionale dell’1,40%, dovuto dal 2013, per tutti i rapporti di lavoro subordinati non a tempo indeterminato (articolo 2, comma 28, del decreto legislativo 92/2012).

Nessuna ulteriore maggiorazione alla contribuzione è, invece, richiesta in caso di proroga di un rapporto di lavoro a termine in essere. Ciò in quanto il rapporto sottostante alla proroga fa parte dell’iniziale rapporto di lavoro, mentre il rinnovo è un ulteriore contratto di lavoro stipulato ex novo tra le parti e soggiace, se non diversamente previsto dalla contrattazione collettiva, alla regola dello “stop & go”.

Partiamo col dire che va calcolato moltiplicando lo 0,50% al numero dei rinnovi effettuati. Infatti, secondo l’interpretazione fornita dal Ministero del Lavoro, con la circolare n. 17/2018, la maggiorazione contributiva è da considerarsi crescente ad ogni rinnovo, andando così a prevedere un aumento contributivo continuo ad ogni ulteriore contratto a termine che l’azienda intende instaurare con un determinato lavoratore. In pratica, ad ogni rinnovo il datore di lavoro dovrà sommare alla precedente contribuzione maggiorata, pagata nell’ultimo contratto a termine, lo 0,50%.
Quindi, in base all’interpretazione ministeriale, assisteremo ad una crescita della contribuzione in virtù del numero di rinnovi effettuati tra le parti.
Per semplificare ecco un esempio:
assunzione: 1° contratto a tempo determinato: 1,40%
proroga: a tempo determinato: 1,40%
Stop&Go (
assunzione: 2° contratto a tempo determinato: 1,90% (1,40% + 0,50%)
Stop&Go
3° contratto a tempo determinato: 2,40% (1,90% + 0,50%)
Un’altra interpretazione ministeriale, contenuta sempre nella circolare n. 17/2018, ritiene che di rinnovo si parli anche qualora nella proroga, di un contratto a termine, venga modificata la causale originariamente apposta, ragion per cui l’Istituto previdenziale richiederà lo 0,50% anche in questa occasione.
Il contributo addizionale dello 0,50% non si applica ai seguenti lavoratori assunti con contratti a tempo determinato o somministrazione a termine:
· lavoratori adibiti a svolgere attività di insegnamento, di ricerca scientifica o tecnologica, di trasferimento di know-how e di supporto, di assistenza tecnica o coordinamento all’innovazione, qualora il datore di lavoro sia: università privata, incluse le filiazioni di università straniere; istituto pubblico di ricerca; società pubblica che promuove la ricerca e l’innovazione; ente privato di ricerca.
· lavoratori assunti con contratto a termine in sostituzione di lavoratori assenti, anche maternità o in sostituzione per ferie per esempio;
· lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali, ma esclusivamente qualora dette attività stagionali siano previste dal D.P.R. n. 1525/1963. Le attività stagionali previste dalla contrattazione collettiva dovranno sottostare al pagamento sia della contribuzione addizionale che di quella maggiorata (1,40 e 0,50% crescente);
· apprendisti.
La normativa, istitutiva del contributo addizionale (articolo 2, comma 30, della legge n. 92/2012), ne prevede la restituzione integrale nell’ipotesi in cui il datore di lavoro decida di trasformare il rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato. La restituzione attiene al totale della contribuzione maggiorata pagata nell’ultimo rinnovo effettuato.
Medesimo effetto restitutorio si ha nel caso in cui l’azienda decida, entro i 6 mesi successivi dalla cessazione del precedente rapporto a termine, di riassumere il lavoratore con un rapporto stabile di lavoro (a tempo indeterminato). In quest’ultimo caso, la restituzione avviene detraendo dalle mensilità di contribuzione addizionale spettanti al datore di lavoro un numero di mensilità ragguagliato al periodo trascorso dalla cessazione del precedente rapporto di lavoro a tempo determinato all’instaurazione del nuovo rapporto a tempo indeterminato.
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