Agenzia Entrate: regime speciale per lavoratori impatriati e smart-working
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 621 del 23 settembre 2021, ha fornito alcuni chiarimenti in merito al regime speciale per lavoratori impatriati anche per coloro i quali svolgono attività in smart-working all’estero.
La risposta dell’Agenzia delle Entrate
L’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 ha introdotto il ” regime speciale per lavoratori impatriati“. La citata disposizione è stata oggetto di modifiche normative, operate dall’articolo 5 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34
(convertito dalla legge 28 giugno 2019, n. 58), in vigore dal 1° maggio 2019, che trovano applicazione, ai sensi del comma 2 del citato articolo 5 del decreto legge n. 34 del 2019, come modificato dall’articolo 13-ter, comma 1, del decreto legge 26 ottobre 2019, n. 124, convertito dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157 “a partire dal periodo d’imposta in corso, ai soggetti che a decorrere dal 30 aprile 2019 trasferiscono la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e risultano beneficiari del regime previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147“.
Per fruire del trattamento di cui all’articolo 16 del decreto internazionalizzazione, come modificato dal decreto crescita, è necessario, ai sensi del comma 1, che il lavoratore:
- trasferisca la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 2 del TUIR;
- non sia stato residente in Italia nei due periodi d’imposta antecedenti al trasferimento e si impegni a risiedere in Italia per almeno 2 anni;
- svolga l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio
In base al successivo comma 2, il cui contenuto è rimasto immutato rispetto alla versione dell’articolo 16 in vigore fino al 30 aprile 2019, sono destinatari del beneficio fiscale in esame, inoltre, i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale che:
- sono in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto “continuativamente” un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, ovvero
- abbiano svolto “continuativamente” un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.
L’agevolazione in esame è fruibile dai contribuenti per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui trasferiscono la residenza fiscale in Italia, ai sensi dell’articolo 2 del TUIR, e per i quattro periodi di imposta successivi (cfr. articolo 16, comma 3, decreto legislativo n. 147 del 2015).
Per accedere al regime speciale, il citato articolo 16 presuppone, inoltre, che il soggetto non sia stato residente in Italia per due periodi di imposta precedenti il rientro.
In relazione alle modifiche normative che hanno ridisegnato il perimetro di applicazione del suddetto regime agevolativo a partire dal periodo di imposta 2019, con particolare riferimento ai requisiti soggettivi ed oggettivi per accedere all’agevolazione, ai presupposti per accedere all’ulteriore quinquennio agevolabile, all’ambito temporale di applicazione della sopra richiamata disposizione, alle modifiche normative concernenti il requisito dell’iscrizione all’anagrafe degli Italiani residenti all’estero (c.d. AIRE) per fruire dell’agevolazione fiscale in esame sono stati forniti puntuali chiarimenti con circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020, cui si rinvia per una completa disamina degli aspetti di carattere generale della normativa in esame. Con precedente circolare n. 17/E del 23 maggio 2017, è stato precisato che il requisito che l’attività lavorativa sia svolta prevalentemente nel territorio dello Stato, secondo quanto previsto nel decreto attuativo (articolo 1, comma 1, lettera c), DM 26 maggio 2016) deve essere verificato in relazione a ciascun periodo d’imposta e risulta soddisfatto se l’attività lavorativa è prestata nel territorio italiano per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco dell’anno. Qualora il requisito sussiste solo per alcuni
dei periodi di imposta compresi nel quinquennio per il quale è possibile fruire del beneficio, il lavoratore potrà fruirne per i soli anni in cui il requisito sarà soddisfatto, fermo restando che gli altri anni concorreranno comunque al computo del quinquennio.
L’agevolazione de qua risulta applicabile ai soli redditi che si considerano prodotti nel territorio dello Stato. Ciò è in linea con la finalità delle norme tese ad agevolare i soggetti che si trasferiscono in Italia per svolgervi la loro attività e, in particolare, con il tenore letterale dell’articolo 16 del d.lgs. n. 147 del 2015 – norma di carattere generale per l’ampiezza dei destinatari ai quali si rivolge – il quale dichiara espressamente agevolabili i redditi prodotti in Italia. Per individuare tali redditi si rinvia ai criteri di collegamento con il territorio dello Stato previsti dall’articolo 23 del TUIR, il quale considera prodotti in Italia i redditi di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo se prestati nel territorio dello Stato, anche se remunerati da un soggetto estero.
A tal riguardo per “luogo di prestazione” dell’attività lavorativa, nella particolare ipotesi di svolgimento della prestazione medesima nella modalità di svolgimento dell’attività lavorativa flessibili (cd. smartworking o lavoro da remoto) bisogna avere riguardo al luogo dove il lavoratore dipendente è fisicamente presente quando esercita le attività per cui è remunerato.
Si ritiene, quindi, che l’Istante non può applicare l’agevolazione fiscale di cui all’articolo 16, comma 1, del d.lgs. n. 147 del 2015 – come modificato dall’articolo 5 del d.l. n. 34 del 2019, convertito dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, e successive modificazioni e integrazioni – ai redditi erogati al dipendente considerato che gli stessi non sono stati prodotti nel territorio dello Stato e che per il periodo di imposta 2020 l’attività lavorativa non è stata svolta prevalentemente nel territorio dello Stato.
Con riferimento al secondo quesito, si fa presente che qualora il reddito in esame derivante dall’attività di lavoro dipendente prestato nei Paesi Bassi sia ivi assoggettato ad imposizione secondo quanto disposto dall’articolo 15, paragrafo 1, della Convenzione, il contribuente, considerato fiscalmente residente in Italia ai sensi dell’articolo 2 del TUIR, potrà fruire del credito per le imposte estere nei limiti ed alle condizioni previste nell’articolo 165 del TUIR (cfr. anche art. 24, paragrafo 4, della Convenzione).
Resta fermo che la verifica della sussistenza dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale di un soggetto riguarda elementi di fatto che, come precisato con circolare n. 9/E del 1° aprile 2016, non possono essere oggetto di istanza di interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212.Il presente parere viene reso sulla base degli elementi e dei documenti presentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto.