Accordo di transizione occupazionale: quali sono gli incentivi per chi assume
L’accordo di transizione occupazionale ha riflessi positivi per l’occupazione dei lavoratori in CIGS, ma soprattutto per i datori di lavoro intenzionati ad assumerli. Possono, infatti, fruire di un incentivo per le assunzioni a tempo indeterminato, anche in apprendistato professionalizzante, pari al 50%, per ogni mese e per un massimo di 12, dell’ammontare del trattamento straordinario di CIGS che sarebbe stato percepito dal lavoratore. La fruizione del beneficio è però strettamente correlata anche ad alcuni adempimenti normativi, senza i quali lo stesso non viene riconosciuto. Quali sono?
Con l’art. 22-ter del D.Lgs. n. 148/2015, riformato dalla legge di Bilancio 2022 (legge n. 234/2021), il Legislatore ha inteso, in via prioritaria, accrescere nella “cassetta degli attrezzi” con l’accordo di transizione occupazionale, un ulteriore strumento per la risoluzione delle controversie collettive di lavoro che, per le loro difficoltà, rischiano di restare endemiche e di non essere risolte.
Di conseguenza, oltre che interessare le parti direttamente coinvolte nella discussione, la norma si rivolge ad operatori pubblici come il Ministero del Lavoro, il Ministero dello Sviluppo Economico, Regioni e Province Autonome, ANPAL).
Come funziona l’accordo di transizione occupazionale
Attraverso tale strumento è possibile concedere un ulteriore intervento integrativo salariale straordinario in favore delle imprese che hanno esaurito il “plafond” previsto nel quinquennio mobile (36 mesi se è stato utilizzato nel primo biennio il contratto di solidarietà): si tratta di un periodo extra che al massimo può durare 12 mesi, non rinnovabile: il tutto, in deroga agli articoli 4 (durata massima complessiva) e 22 (durata delle CIGS per riorganizzazione, crisi aziendale o contratto di solidarietà).
L’accordo di transizione occupazionale richiede, quindi, che l’impresa ed i lavoratori interessati si trovino “in uscita” da CIGS per una delle causali sopra indicate.
I datori di lavoro, potenzialmente interessati sono quelli che occupano almeno 16 dipendenti: nel computo anno compresi tutti i lavoratori subordinati, ivi compresi i dirigenti che, tuttavia, non usufruiscono di alcun ammortizzatore sociale.
Propedeutico all’accordo è il procedimento di consultazione sindacale previsto dall’art. 24 che, tra le altre cose, detta i tempi per la conclusione del procedimento il quale prevede, innanzitutto, l’informativa e l’esame congiunto con le RSA o le RSU, nonché con le articolazioni territoriali delle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale: i tempi sono di 10 giorni per le aziende dimensionate fino a 50 dipendenti e salgono a 25 per quelle che presentano un organico superiore.
Qui, come accennato pocanzi, la procedura si deve concludere con un accordo, cosa che, in via normale, non viene richiesto dalla norma, se si eccettua il caso del tutto particolare del contratto di solidarietà.
Il periodo extra di integrazione salariale straordinaria deve essere concesso dalla Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali con i tempi di presentazione della istanza (7 giorni dal raggiungimento dell’accordo) e la procedura strettamente telematica indicati sia dall’art. 25 che dalla prassi amministrativa. Anche i tempi di autorizzazione (al massimo 90 giorni dalla presentazione della richiesta da parte dell’impresa) sono quelli indicati dal predetto articolo.
Nella transizione occupazionale l’accordo sindacale deve, esplicitamente, definire le azioni finalizzate sia alla rioccupazione che all’autoimpiego, con il ricorso anche ai Fondi interprofessionali per quel che riguarda la formazione e la riqualificazione professionale.
I lavoratori hanno l’obbligo di partecipare ai corsi e la mancata presenza, ascrivibile alla responsabilità esclusiva del lavoratore, comporta la decadenza dalla prestazione di integrazione salariale (qui si tratterà di individuare, in via amministrativa, chi deve accertare l’assenza e, soprattutto, chi dovrà decidere circa la decadenza dalla fruizione – probabilmente, l’INPS).
Anche le Regioni possono avere un ruolo attivo (cosa che, indubbiamente, ha una logica in quanto la crisi di molte aziende si riflette negativamente nel contesto dei vari territori interessati): infatti, le azioni promozionali dell’accordo, finalizzate all’auto impiego, alla rioccupazione, alla formazione ed alla riqualificazione professionale possono essere cofinanziate nell’ambito delle misure che, normalmente, vengono erogate dal servizio delle politiche attive sul lavoro.
I dipendenti che fruiscono della integrazione salariale “ulteriore” vengono inseriti nel Programma GOL (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) disciplinato dall’art. 1, comma 324, della legge n. 178/2020 ed i nominativi sono messi dall’ANPAL a disposizione di tutte le Regioni interessate.
Vantaggi per datori di lavoro e lavoratori
L’accordo appena descritto può avere riflessi positivi per l’occupazione dei lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria ma anche per i datori di lavoro che fossero intenzionati ad assumerli.
Infatti, i commi da 243 a 248 dell’art. 1 della legge n. 234/2021 individuano due possibilità di assunzione agevolata: quella a tempo indeterminato (anche a tempo parziale, non essendo prevista alcuna esplicita preclusione) e quella, pur sempre a tempo indeterminato, ma attraverso l’apprendistato professionalizzante (art. 47, comma 4 del D.Lgs. n. 81/2015), oggi in vigore per i soggetti “over 29” titolari di un trattamento di NASPI.
Quindi, la prima cosa che viene in evidenza è che le agevolazioni non sono state pensate, indistintamente, per tutti i lavoratori in CIGS ma soltanto per quelli che fruiscono dell’ammortizzatore a seguito di accordo di transizione occupazionale. Per chi non è “in cassa per transizione” restano quelli previsti dall’art. 4, comma 3, del D.L. n. 148/1993 (12 mesi di contribuzione ridotta al 10% se il lavoratore è in integrazione da almeno 3 mesi e l’azienda lo è da almeno 6) e dall’art. 24-bis del D.L.vo n. 148/2015 (accordo di ricollocazione con un beneficio di 4.030 euro l’anno – rivalutabili sulla base della variazione ISTAT- sulla quota a carico del datore per un massimo di 18 mesi se l’assunzione avviene a tempo indeterminato e 12 mesi, se a termine).
Ma quale è il beneficio che può ottenere chi assume a tempo indeterminato un lavoratore a seguito dell’accordo di transizione?
L’incentivo è pari al 50%, per ogni mese e per un massimo di 12, dell’ammontare del trattamento straordinario di CIGS che sarebbe stato percepito dal lavoratore: da quanto appena detto, si comprende che esso, è strettamente correlato al trattamento di CIGS.
A questo punto, pare opportuno chiedersi quanto tale agevolazione sia appetibile in considerazione del fatto che il trattamento massimo di CIGS previsto per il 2022 reso noto dalla circolare INPS n. 26 del 16 febbraio u.s. è pari a 1222,51 euro lordi.
Se l’assunzione dovesse avvenire al termine o quasi del periodo di godimento, essendo l’agevolazione pari al 50% della somma, esso sarebbe di poca entità ristoro e, quindi, meno appetibile di quella che si potrebbe ottenere attraverso il con contratto di apprendistato professionalizzante. L’incentivo è strettamente correlato anche ad alcuni adempimenti normativi senza i quali lo stesso non viene riconosciuto.
Adempimenti necessari per la fruizione del beneficio
Cominciamo dal primo.
Il riconoscimento del beneficio richiede:
- a) il rispetto dell’art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006 (regolarità contributiva, assenza di violazione di relative a violazioni di norme in materia di lavoro, salute e sicurezza, elencate nell’Allegato al D.M. sul DURC, rispetto del trattamento economico e normativo del CCNL di settore sottoscritto dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale: ciò vale anche per gli eventuali accordi territoriali od aziendali);
- b) il rispetto di tutte le voci richiamate dall’art. 31 del D.Lgs. n. 150/2015.
Il Legislatore, inoltre, pone altri vincoli che riprendono, letteralmente, condizioni già presenti in altri provvedimenti incentivanti.
Il comma 244 dell’art. 1 prevede che l’agevolazione non venga riconosciuta in favore dei datori di lavoro che nei 6 mesi antecedenti l’assunzione abbiano effettuato licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo o licenziamenti collettivi secondo la procedura prevista dalla legge n. 223/1991 nella stessa unità produttiva. Il dettato letterale della disposizione contempla un “blocco generalizzato” nel senso che i benefici non vengono riconosciuti (fatti salvi gli eventuali chiarimenti amministrativi successivi) pur se il lavoratore o i lavoratori oggetto di recesso avevano un livello e una categoria diversi rispetto a quella di inquadramento del nuovo dipendente.
Il comma 245 prevede che il licenziamento del lavoratore assunto con il beneficio o il licenziamento individuale o collettivo per giustificato motivo oggettivo di un altro dipendente impiegato nella medesima unità produttiva e inquadrato con gli stessi livelli e categoria legale di inquadramento, effettuato nei 6 mesi successivi, comporti sia la revoca del beneficio che la restituzione di quanto già fruito. La revoca del contributo, ai fini del computo del periodo utile alla fruizione residua, non ha effetti nei confronti di altri datori che assumono il lavoratore. Nel caso in cui il rapporto si estingua per dimissioni del lavoratore, il beneficio viene riconosciuto per la durata effettiva pur se le dimissioni sono intervenute nel semestre preso in osservazione.
Con il successivo comma il Legislatore mostra di agevolare i lavoratori in CIGS che si costituiscono in cooperativa: in questo caso, il beneficio è riconosciuto ai singoli soggetti “pro quota” e sempre al 50% del trattamento, in relazione ai mesi ancora da fruire.
Gli incentivi che sono stati, sinteticamente, esaminati non sono, però, immediatamente operativi.
Infatti, la piena agibilità è condizionata alla successiva autorizzazione della Commissione UE ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3, del Trattato dell’Unione.
Assunzione con contratto di apprendistato professionalizzante
Passo, ora, ad esaminare la possibilità di assunzione con il contratto di apprendistato professionalizzante.
Il comma 248 afferma che è possibile attivare il contratto di apprendistato professionalizzante ex art. 47, comma 4, del D.L.vo n. 81/2015.
Qui, non c’è alcun bisogno di attendere l’autorizzazione di Bruxelles e la possibilità di assunzione è, unicamente, legata alla sottoscrizione di un accordo di transizione occupazionale con la conseguente ammissione dei lavoratori interessati alla “CIGS ulteriore”, a seguito del provvedimento di concessione del Ministero del Lavoro. Il contratto di apprendistato deve tendere ad una qualificazione o riqualificazione professionale secondo un piano formativo ben definito, ha una durata che, al massimo, può raggiungere i 36 mesi ed i 60 per i profili caratterizzanti la figura dell’artigianato individuate dalla contrattazione collettiva di riferimento (art. 44, comma 2).
Tale contratto, rispetto a quello in uso per i giovani, contiene la particolarità che il datore non può recedere al termine del periodo formativo. Per quel che concerne, invece, la possibilità di licenziamento valgono le regole contenute nel D.Lgs. n. 23/2015, come modificato dalle sentenze della Corte Costituzionale emanate negli ultimi anni. Ovviamente (art. 47, comma 7), la contribuzione di favore finisce al termine del periodo formativo non essendo prevista la contribuzione ridotta (10%) nei 12 mesi successivi al termine dello stesso.
I vantaggi per il datore di lavoro sono di natura contributiva, di natura economica e di natura normativa.
I datori di lavoro usufruiscono, in via generale, di una contribuzione a loro carico, per tutta la durata dell’apprendistato, pari al 10% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.
Per i datori di lavoro, invece, che occupano un numero di addetti pari od inferiore a nove (il numero va verificato all’atto dell’assunzione e il beneficio resta pur se l’azienda cresce) l’aliquota complessiva a loro carico è ridotta per i primi due anni rispettivamente all’1,5% ed al 3%, restando fermo il livello del 10% per i periodi contributivi maturati dopo il secondo anno.
Sulla scorta della previsione contenuta nell’art. 2, comma 36, della legge n. 92/2012 la contribuzione di riferimento è maggiorata, dal 1° gennaio 2013, dell’1,31% a cui si aggiunge lo 0,30% previsto dalla legge n. 845/1978 per la formazione dei fondi interprofessionali.
Nel computo dei nove dipendenti sono essere compresi (circolare INPS n. 22/2007):
- a) I dirigenti;
- b) Gli assunti con contratto a tempo indeterminato;
- c) Gli assunti con contratto a tempo determinato, computati secondo la previsione contenuta nell’art. 27 del D.Lgs. n. 81/2015;
- d) I lavoranti a domicilio;
- e) I lavoratori a tempo parziale, in proporzione all’orario svolto (art. 9 del D.L.vo n. 81/2015);
- f) I lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto (malattia, maternità, ecc.) se non sono stati computati i loro sostituti;
- g) I lavoratori intermittenticomputati nell’organico dell’impresa in proporzione all’orario di lavoro effettivamente prestato nell’arco di ciascun semestre (art. 18 del D.Lgs. n. 81/2015);
Sono esclusi dal calcolo:
- a) gli apprendistiin forza al momento dell’assunzione, per effetto dell’art. 47, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2015;
- B) i lavoratori somministrati inviati dalle Agenzie del Lavoro;
- C) i lavoratori assunti dopo essere stati addetti a lavori socialmente utili o di pubblica utilità, come previsto dall’art. 7 del D.Lgs. n. 81/2000;
Per la contribuzione relativa ai rapporti di apprendistato non viene richiesto, ciò che, in via generale, occorre rispettare tutte le volte che si è in presenza di uno sgravio contributivo: il rispetto del comma 1175 dell’art. 1 della legge n. 296/2006 e dell’art. 31 del D.Lgs. n. 150/2015. Infatti, la “sotto contribuzione” non è una agevolazione ma una “contribuzione propria” finalizzata, per scelta legislativa, a favorire l’occupazione giovanile, come ricorda la circolare n. 5/2008 del Ministero del Lavoro.
Anche il lavoratore assunto con tale tipologia contrattuale a seguito di accordo di transizione occupazionale che ha portato alla CIGS, può essere retribuito per tutta la durata del periodo formativo anche con due livelli stipendiali inferiori a quello finale. C’è da osservare, tuttavia, come alcuni contratti collettivi abbiano previsto un percorso di avvicinamento al livello massimo, attraverso scatti intermedi (magari di un livello a “metà percorso”) o, in altri casi, soprattutto per le qualifiche a più basso contenuto professionale, l’abbassamento di un solo livello.
In alternativa, la contrattazione collettiva può stabilire, nel rispetto dell’anzianità di servizio, una forma retributiva “percentualizzata” rispetto al trattamento economico finale e progressiva nell’ammontare, secondo un “modus” già presente, da tempo, in alcuni contratti collettivi.
Gli assunti con contratto di apprendistato non rientrano (per tutta la durata della tipologia) nella base di calcolo per l’applicazione di particolari istituti previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva: ciò appare di estrema importanza per quelle imprese che, per i propri limiti dimensionali, sono soggette agli obblighi scaturenti dal rispetto della legge n. 68/1999.
Da ultimo, mi sembra opportuno ricordare come, anche in questo caso, trovi applicazione l’art. 2, comma 4, del D.Lgs. n. 148/2015 che prevede che i periodi di integrazione salariale fruiti durante il periodo formativo debbano essere recuperati.